
DESIGN ALPINO : rifugi, bivacchi e attrezzature d’alta quota
La mostra, Design Alpino: rifugi, bivacchi e attrezzature d’alta quota visitabile fino a dicembre 2018, vuole rendere omaggio ad un sodalizio ultracentenario tra due delle più importanti e storiche istituzioni italiane quali il Club Alpino Italiano sezione di Milano e il Politecnico di Milano, con i loro importanti personaggi che ad esse hanno dato vita e lustro negli anni.
Tale sodalizio nasce nel lontano 1873 quando, già attivi da un decennio il Club Alpino Italiano e il Politecnico di Milano, quest’ultimo accolse nelle proprie aule la nascente Sezione CAI di Milano, tra le più antiche e prestigiose d’Italia. Tra i padri fondatori del CAI alcuni dei più noti e prestigiosi accademici erano accomunati da grande interesse scientifico e grande passione per gli sport alpini.
Il percorso espositivo si apre con la sezione storica vede esposti documenti originali provenienti dalla Biblioteca “Luigi Gabba” della sezione CAI Milano, a partire dagli atti fondativi del 1873, a firma di alcuni tra quei docenti politecnici tra i quali appunto l’accademico Gabba.
Alcune rarità, sono poi i documenti storici dei rifugi di proprietà del CAI di Milano, i documenti gestionali, i manuali d’uso e i disegni originali delle diverse tipologie, di cui ancora oggi esistono testimonianze. Altro prezioso contributo dal Museo Nazionale della Montagna di Torino: le foto originali delle fasi di montaggio del bivacco Ravelli, uno dei più noti e frequenti manufatti metallici sulle nostre montagne.
La sezione architetture alpine vede tra i pezzi più preziosi i disegni originali dell’allora laureando Marco Zanuso, un’autentica rarità per la prima volta esposti al pubblico, che in collaborazione con Gianni Albricci propose ai Littoriali di Palermo del 1938 un progetto di rifugio alpino in Val Camonica.
A completamento della serie riservata ai più illustri architetti italiani le foto delle realizzazioni dell’Albergo di Carlo Mollino e l’Albergo Rifugio Pirovano di Franco Albini, oltre al già noto rifugio Ponte di Ghiaccio di Studio Modus.
La sezione attrezzature alpine raccoglie alcuni esemplari di strumenti di lavoro e vita in quota, quali sci, scarponi, zaini e abbigliamento, e fa vedere, grazie a un confronto in pochi esemplari, quanto si sia evoluta la tecnologia a proposito di ausili ormai divenuti indispensabili sia per il lavoro che per lo sport o per la semplice passione.
Chiudono la mostra i filmati video originali #Tra terra e cielo aspettando di Alberto Morbelli con musiche di Luca Vasco, un contributo realistico sulla dura vita dei rifugisti e #Cantiere sopra le nuvole della Cineteca Centrale CAI in gestione presso la sezione CAI di Varallo Sesia, film documento sulla costruzione della Capanna Regina Margherita, di proprietà del CAI Centrale, il rifugio più alto d’Europa (mt. 4566).
Aldo Faleri



Pinne da neve
L’attacco per pinne Finclip è tra i prodotti più significativi legati all’innovazione esponenziale che ha interessato il design per l’alpinismo negli ultimi anni. Sì, esattamente un attacco per pinne in polipropilene: da utilizzare al mare, o al lago; volendo anche sulla neve (pur se in tal caso sarebbero più consigliabili tradizionali ciaspole in legno e budello).
Progettato da Design su misura, Finclip è tuttavia derivato da uno studio sull’evoluzione degli attacchi degli sci e le relative dinamiche di aggancio e sgancio rapido, senza usare le mani. Un po’ come dire: “se le pinne non vanno alla montagna, saranno gli attacchi ad andare al mare”. La prevalenza tecnologica e funzionale nel progetto degli utensili per la montagna li pone da un lato in una sorta di riserva naturale, confinata, settoriale e meno soggetta ai riflettori della critica rispetto ad altri grandi ambiti tipologici, portatori di una maggiore seduttività della forma.
Paradossalmente, tuttavia, questa particolare condizione libera gli oggetti dalle paludi stilistiche, proiettandoli in una dimensione di maggiore sincerità e respiro progettuale, che un po’ assomiglia a quanto ricercato da chi ne fa uso nella salita verso la purezza e l’essenzialità della montagna. Piccozze da ghiaccio pesanti come un pacco di caffé, scarponi transformer per ogni terreno, altri capaci di accompagnarci non solo per sciare ma anche per camminare o guidare.
Per non dimenticare, naturalmente, il mondo dei tessuti tecnici: ambito a elevatissimo tasso di ricerca che, grazie alla sua vocazione a sviluppare nuove soluzioni per contesti estremi spesso funge da guida a tutto il fashion design. Da un lato, i codici del mountain design contemporaneo fanno riferimento a un mondo delle percezioni e delle qualità materiche – lo stesso che nel 1977 Clino T. Castelli ha chiamato per la prima volta “Design Primario”–, dall’altro ci ricorda che questo genere di utensili si relaziona direttamente al nostro corpo e alle sue radici più profonde. Sorta di “protesi aggiunte”, risultano tanto più sofisticate nelle soluzioni tecnologiche quanto primitive nella matrice originaria, che rinvia alle selci affilate, ai rami scortecciati e alle pellicce che molto tempo fa ci permettevano di resistere al freddo, scalare le rocce e procurarci il cibo anche nelle condizioni più difficili. Ma, in termini ancora più profondi, rinviano agli artigli affilati e al pelo folto che molto tempo prima scaturivano direttamente dal nostro corpo.
Si dice che Reinhold Messner talvolta racconti di come, durante un’escursione al Polo, cadde in un crepaccio profondo. Pareti lisce di ghiaccio e impossibili da affrontare con le piccozze, lampadina fulminata, radio muta. Quando la stasi pareva la soluzione inevitabile, Messner pensò che, quando non si può affrontare la verticalità, si può verificare l’orizzontalità. Esplorato a tentoni nel buio, il crepaccio si rivelò così poco a poco una stretta fenditura, con il suolo lievemente ascendente. Né verticalità, né orizzontalità: trasversalità, tettonica ma anche di pensiero.
In assenza di strumenti adeguati, e in attesa che vengano inventati, l’attrezzo da montagna ancora più sofisticato è in fondo anche il più antico: oggi lo chiamiamo “design thinking”, ma per molto, molto tempo si è chiamato “istinto”.
Guido Musante